Dal nome sembrano qualcosa di astratto, ma in realtà i Fondi di coesione hanno una ricaduta diretta in senso positivo sui territori al centro dei progetti finanziati. Ideate a metà del secolo scorso, nel corso degli anni queste progettualità hanno cambiato nome diverse volte, senza mai perdere di vista lo scopo per cui sono nate: incentivare lo sviluppo dei Paesi dell’Unione Europea, con un focus particolare sulle regioni più arretrate e una programmazione pluriennale.
Come avviene tutto ciò? Il fondo di coesione finanzia dei programmi con responsabilità concorrenti tra la Commissione europea e le autorità nazionali e regionali degli Stati membri. Gli Stati membri scelgono quali idee sostenere e si assumono la responsabilità della messa in pratica.
Per godere di questi finanziamenti c’è una regola precisa: possono accedervi gli Stati membri che hanno un Reddito nazionale lordo inferiore al 90 % della media dell’Ue.
Per farci un’idea della portata economico-sociale di questi piani, tra il 2021 e il 2027 l’Italia riceverà ben 42,2 miliardi di Euro che finanziano progetti di ricerca e innovazione, digitalizzazione, di competitività delle imprese, energia, ambiente, cultura, trasporti e mobilità, riqualificazione urbana, lavoro e occupazione, sociale e salute, istruzione e formazione e, infine, capacità amministrativa. Progetti di questa portata ridefiniranno i territori coinvolti e, con loro, anche le prospettive lavorative e di trasformazione della società, secondo un’ottica di transizione digitale, green jobs e innovazione.
Il regolamento è piuttosto preciso sui progetti che possono essere sostenuti e le loro caratteristiche, perché è fondato sul raggiungimento di due obiettivi specifici: un’economia circolare, più verde e a basse emissioni di carbonio, e un’Europa più connessa. Tra le attività che non possono essere sostenute emergono la disattivazione o la costruzione di centrali nucleari, progetti di infrastrutture aeroportuali (tranne che nelle regioni molto periferiche) e alcune operazioni di gestione dei rifiuti. Non sono ammessi investimenti in abitazioni, a meno che non siano al centro di rifacimenti dal punto di vista dell’efficienza energetica o dell’uso di energie rinnovabili.